Diego Pasqualin
A terra, o meglio, nella terra che va disegnando un'ampia porzione del pavimento e guadagna il muro di una nuda parete di StudioDieci, da angolo ad angolo, affiorano come primule piccoli scatti fotografici di Eliana Frontini, sui quali quest'ultima ha realizzato, a penna, insistenti cancellature.
Quest'opera o installazione, che da un lato parrebbe riallacciarsi alla lezione di Isgrò e dall'altro parrebbe richiamare più in sordina indimenticabili opere di Arte Povera, potrebbe rappresentare in qualche modo una variante del bianco e del nero che sono i colori e non colori della mostra. Potrebbe richiamare soprattutto, attraverso l'odore umido e la presenza materica della terra, una vigna: una vigna i cui frutti sono, paradossalmente, fotografie. Fotografie a cui viene negata l'identità d'immagine, dunque la loro stessa essenza.
Artista performer, insegnante, fotografa e giornalista, Eliana Frontini cerca di tradurre e sintetizzare queste sue differenti esperienze in opere installative di grande semplicità, confidando nella forza simbolica che si cela nelle materie prime come la terra, nel ripetersi di un gesto risaputo come lo scatto fotografico, sapendo che in questo e in quello si dà, all'unisono, testimonianza della storia e del presente. Un modo per dire che la vita è radicata su un continuo rinnovamento governato dalla più sorprendente semplicità. Ma, al tempo stesso, in quest'installazione radicalmente site specific, si offre pure la trasfigurazione di una vigna in una foresta di simboli in cui la cultura agisce modificando la natura. E' allora lecito ipotizzare per quest'opera, grazie al suo corpo di terra umida che ne fa appunto vigna, un qualche riflesso dell'insegnamento che Lacan ha ricevuto dall'antropologia strutturalista di Lévi-Strauss: la cultura finisce per esercitare un suo (foss'anche perverso) primato sulla natura.
Diego Pasqualin, marzo 2012