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La morte (2005)

Tutto, nella mia arte, richiama più o meno esplicitamente la morte.

Sono stata sepolta sotto migliaia di cartine geografiche appallottolate, ho sepolto persone in piedi dentro ad un parallelepipedo completamente isolato dal mondo esterno, costringendoli a fare i conti con i loro pensieri più reconditi, ho fotografato visi di persone morte e ho stampato le loro foto su magliette, per far portare pirandellianamente la morte addosso a chi ha acquistato questi capi d'abbigliamento. Ho riflettuto sull'anatomia degli obesi, sul disfacimento della carne, sulla divinazione, sui miti di ogni epoca...

Ora sono giunta a credere che non esista solo una morte che arriva al termine legale della vita di una persona, ma più e più morti, in numero variabile, che avvengono durante la vita di ogni individuo. Me ne sono resa conto preparando una performance che prevede di fotografare tutte le case in cui sono vissuta. In alcune non entravo più da molti anni ed erano ovviamente occupate da altre persone, che non conoscevo. Che cosa era rimasto là dentro di me bambina? Che cosa era rimasto nel mio cervello nella mia memoria di quel periodo trascorso tra quelle mura? Quasi nulla. Ricordi che potevano già essere scambiati per dejavoux. Nulla. Non è rimasto quasi nulla. Una parte dentro di me era morta, ed anche fuori di me. Fuori di me, perché non assomiglio per nulla alle foto che mi sono state scattate negli anni del liceo, per non parlare delle elementari. Le mie cellule si sono totalmente rinnovate. Una parte di me è più o meno felicemente morta. E sempre sarà così andando avanti nel tempo. Nulla rimarrà di me nella vecchia di domani. Il mio cervello si deteriorerà e i miei ricordi si ridurranno a momenti sempre più confusi.

Forse la morte è già in questa vita, e non se n'è ancora accorto nessuno.