mailfrontini    fbfrontini

Emiliana Mongiat

Per questa giovane artista novarese il bianco è il colore dell'accoglienza sensoriale, l'ambito mentale vergine dove nascono i pensieri e le riflessioni che sono alla base del suo operare artistico. È un colore che non partecipa alle emozioni e che non si impone: contiene, sottolinea, lascia trasparire. Contiene i fili che chiudono con potenti cuciture gli occhi degli angeli del ciclo Nuntius Dei (2009) e sottolinea il senso di disorientamento dell'uomo contemporaneo che non trova rifugio neppure nel sovrannaturale. Contiene i ricami eseguiti con il filo rosso per riprodurre DNA e gangli nervosi e sottolinea come le anomalie che emergono siano quelle che l'uomo va procurando alla natura, proposti nel ciclo È adesso (marzo 2009). Contiene e sottolinea, riemergendo a tratti nelle immagini, i volti e le figure delle persone scomparse del ciclo A memoria nostra (2008) utilizzate per operare riflessioni sulla fugacità della vita, che svanisce come svanisce il suo ricordo. Contiene e sottolinea i segni del ciclo Il niente risplende come se fosse oro (2012) nei quali l'artista ha individuato l'essenza, il concetto puro dell'arte.
Contiene, sottolinea e lascia trasparire i documenti archiviati delle performance eseguite dall'artista nel 2004 (Ho le stelle, ma mi manca il cielo), nel 2005 (Eliana Frontini next collection) e nel 2012 (Uma termo para esquecer cioè Una parola da dimenticare), le nuove opere qui esposte per la prima volta. In esse il bianco si è identificato nella luce trasmessa dal vetro per consentire di vedere le carte geografiche appallottolate con cui il pubblico aveva ricoperto il corpo dell'artista, le magliette con impresse le immagini delle persone defunte inserite al posto del marchio, alcune forme modellate nella terracotta provenienti dall'installazione esposta all'esterno, composta giorno dopo giorno per esprimere le variabili emotive provocate della parola solitudine. Per Eliana Frontini il bianco è il colore del tutto.

 

Emiliana Mongiat, 2013

 

 

(...) elementi attraverso i quali la donna diventa simbolo della rigenerazione e della vita. E questo nonostante tutto, nonostante i lacci sociali e religiosi, che in alcune parti del mondo impongono alla donna di nascondersi, di cancellarsi, di restare prigioniera delle consuetudini come ricorda Eliana Frontini con le sue sbarre colorate. Le donne riusciranno a sconfiggere il drago, ma il confronto sociale con l'altra metà del cielo per camminare in tutto il mondo a fianco a fianco con pari dignità è ancora in corso.

 

Emiliana Mongiat, 2013

Mostra Vincere il drago

 

 

Diario visivo di Eliana Frontini
Un Diario come raccolta quotidiana di frammenti di vita, di pensieri, di immagini che per Eliana Frontini sono diventati occasione per continuare a seguire, modificandolo, il proprio percorso di ricerca artistica.
Le opere esposte in questa occasione, che si riferiscono quasi esclusivamente alla sua ultima produzione, segnalano infatti quel cambiamento profondo verificatosi negli ultimi anni nell’artista novarese. Ora sono il Vero e la Realtà del quotidiano gli elementi centrali della sua ricerca, entrati così in profondità da sostituirsi alle indagini e alle riflessioni mentali che avevano caratterizzato i suoi precedenti interventi -installazioni e performance- (Ho le stelle ma mi manca il cielo, 2004; Eliana Frontini Next Collection, 2005; A memoria nostra, 2008; Nuntius Dei, È adesso del 2009; Il niente risplende come se fosse oro, 2012; Umaterma para esquecier, 2012) qui ricordati da qualche esemplificazione.
Il Diario di questa artista, perciò, si è andato arricchendo di nuove proposte visive, nate da riflessioni su eventi e incontri del vissuto quotidiano, annotazioni semplici e concreteora suggerite da un colore, ora da una forma o da un oggetto (Girasole, Palloncini, Rosa, Duplo, Il Limone, Aqua), rivisitate in chiave new pop e trascritte con i colori tersi della pittura ad olio. Eliana Frontini affianca, però, a queste immagini concrete e solari altre composizioni, che fanno riferimento all’area più nascosta e intima del quotidiano, a quel rapporto che nel corso dei secoli l’uomo ha intessuto con il sacro e che rivela la continuità concettuale del suo percorso di ricerca. Anche in questo caso l’elemento visivo che l’artista ha preso in considerazione è quello più diretto e popolare: il ‘santino’, immagine che nasconde sacralità, culto, devozione, magia. I suoi sono ‘santini’ che vivono in un universo fatto di segni colorati, cuoricini, stelline, appiccichini con animaletti e personaggi dei cartoni animati, ironici e ricchi di riferimenti agli eventi contemporanei, simboli di un’umanità che nonostante la sicurezza offerta dalla scienza, cerca risposte alle angosce personali nelle immagini immutabili della sacralità della tradizione.

 

Emiliana Mongiat, 2016

Per la personale "Diario", Mulino Vecchio di Bellinzago (NO), ottobre 2016