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Arte ultraconcettuale (2011)

Ragiono volentieri sulla società a strati. Di che cosa si tratta?

Benjamin nei Passages di Parigi è illuminante, descrivendo la vita di chi passa, e non sosta, e scattandone istantanee di vita... ma queste istantanee portano dietro una vita. I Passages di Parigi si presentano come una ricostruzione globale di un secolo, l'Ottocento, colto nello specchio di una città come Parigi, e indagato nei suoi elementi apparentemente marginali, quali la moda, il gioco, il collezionismo, la merce, la prostituzione, i passages. Ma il libro è anche la rappresentazione di un sogno di cui la cultura europea ha dovuto destarsi: un risveglio che è poi la crisi dello storicismo e delle ideologie ottocentesche, che approda in Benjamin alla sua forma più risolutiva e radicale.

Indispensabile è anche citare Guy Debord, e la sua Società dello spettacolo. Scritto nel 1967, agli albori dell'era televisiva, ha intuito con lucidità agghiacciante che il mondo reale si sarebbe trasformato in immagini, e che lo spettacolo sarebbe diventato la principale produzione della società attuale: siamo entrati nell'epoca dello spettacolo integrato; è la fine della Storia, il crimine perfetto che ha soppresso la realtà.

La nostra società è fatta a strati. Occasionalmente si hanno come specie di illuminazioni che, per un attimo, ci rendono coscienti della realtà di questi strati. Si tratta di attraversare barriere impalpabili. Immaginiamoci passeggiare per le vie della nostra città: incontriamo e parliamo con persone appartenenti al nostro medesimo strato. Vediamo solo gli altri simili a noi, con i quali condividiamo simili interessi. Ma gli altri? Cos'è che è trasversale? Qual è il denominatore comune? Che cosa unisce tutte queste persone? C'è qualcosa, o non c'è nulla? L'empatia ci fa sentire simili, l'attimo uguali, il tempo irrimediabilmente diversi. Per un secondo tutto è lucido e comprensibile, poi, quell'attimo di onniscienza scompare, e ne rimane il ricordo un po' sbiadito, si è certi di essere arrivati all'essenza dell'inconoscibile, ma non si ricorda altro, e si attende, spesso invano, ancora l'apertura di una porta che per la maggior parte degli individui resterà chiusa per sempre.

Ho studiato arte, ho visto le figure, le installazioni, le sculture, i paesaggi, i ritratti, le fotografie... ne ho realizzate. Ma la mia volontà è ora di arrivare al nocciolo all'essenza. In una parola, al segno. Mi piace lo stato in cui non c'è nulla da meditare: quando lo spirito non dimora su nulla, il vero spirito appare. Più si comprende in ogni fibra del corpo che i pensieri sono solo dei contenuti vuoti, privi di ogni sostanza reale, che vanno e vengono, ci si rende conto finalmente che esiste una coscienza intuitiva, originaria ed universale, radicalmente diversa dalla coscienza abituale, la realtà della vita che impregna tutto l'universo. Possiamo dire che questo è il campo integrale della coscienza. E' il pensiero che ritorna al punto zero del tempo, il pensiero che le ragioni e le considerazioni personali non raggiungono. E' la coscienza universale che segue il movimento della natura e l'ordine dell'universo.

L'arte dei nostri giorni rifrange se stessa come le figure che si formano in un caleidoscopio. Il figurativo a volte ritorna, l'anatomia, la ritrattistica è cercata, coccolata, ci si aggrappa ad essa come all'unica cosa conoscibile, sicura, amica. Io vorrei andar oltre, oltre l'astratto, cercando di capire come, dopo l'arte concettuale, ci sia stata la perdita del concetto. Nella mia ricerca mi accorgo di come mi sia stato facile giungere allo spirituale, all'essenziale, al minimo. Al segno.

L'ultraconcettuale è oltre l'arte. Oltre il figurativo, l'astratto, oltre la performance, è l'essenza. Se la performance è lo spettacolo teatrale dove viene messo in scena il concetto, l'arte ultraconcettuale è l'ultima battuta di questo spettacolo.

Rimani nello stato in cui non c'è nulla da meditare.