Mostre personali 2009-2010
Febbraio 2009
Rieti, Libreria Moderna. Non sempre il paradiso può attendere.
A cura di Barbara Pavan. Patrocinio del Comune di Rieti.
La mostra rientra nel progetto Penelope non abita più qui, promosso da Studio7.it su tutto il territorio nazionale.
Non sempre il paradiso può attendere sono fotografie di angeli cucite su pezzi strappati di vecchi lenzuoli. Il filo nero utilizzato è quello da sutura, atto a ricongiungere i lembi di una ferita. Gli angeli cuciti hanno una storia concettuale alfine positiva: dai drammatici ex voto di Rexurrexit, alle tele libere che scendevano dal soffitto in Isolina e le altre... o di Alt, il corpo è mio, entrambe incentrate sulla violenza sulle donne, gli ultimi angeli vengono liberati: il filo, infatti, è tagliato. Dai primi angeli, quindi, che riassumevano la ricerca artistica riguardante riflessioni sulla violenza e sulla memoria e sul fatto che esiste, viva e tangibile, una quarta dimensione dell'opera d'arte, concretizzata convenzionalmente nel tempo, abbiamo qui un proseguimento concettuale dove l'angelo, medicato, sta guarendo, indipendente e finalmente privo di costrizioni.
Tutte le fotografie sono state completate e rese uniche dalla cucitura. Il fotografo scatta e ritrae la realtà. L'artista opera sulla realtà fotografata, trasformando le ombre e i desideri e guidando l'immagine verso il trascendente, verso l'inconoscibile.
Ottobre 2009
Rieti, Studio7 Spazio Arte. Non verba, non scripta.
Mostra inserita nella rassegna Fotografika II. A cura di Barbara Pavan. Catalogo.
Non verba, non scripta è una serie di piccole stampe fotografiche completate da forti segni tracciati con biro nera, che quasi giungono a nascondere le immagini. Solo un'attenta osservazione, infatti, permette allo spettatore di cogliere, sotto la spessa coltre materica d'inchiostro, la riproduzione di fiori. Scatti veloci in splendidi giardini, primi piani di bouchet nuziali, belle foto che sono state eclissate, nascoste, quasi, cancellate.
Tutto deriva dal ricordo della lettura di un passo dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, uno dei testi più inquietanti, ma anche più struggenti, di tutta la letteratura. La descrizione del giardino sofferente fu scritta dal poeta a Bologna, nell'aprile del 1826, per dimostrare che "non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto, ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi".