Articoli / Critica dell'arte
17. Don Antonio Guarneri
Anime. Sono anime quelle che vedo nelle figurette dipinte da Don Antonio Guarneri, corpi evanescenti, appena tratteggiati, ma dall'anatomia perfetta ed indagatissima. E' la parte della sua produzione che mi piace di più, che sento più affine, quando il nostro artista decide consapevolmente di staccarsi – almeno temporaneamente - dal ritrarre l'oggetto vero, vivo, reale, dalla pittura di storia, insomma, per attraversare quel limite preciso, ma impalpabile, dell'infinito. Don Antonio tratteggia luoghi immaginativi di introspezione, mai di smarrimento, dentro un universo percepito nel suo germinante intrico vitale. Ci troviamo di fronte ad una pittura di passione, individuata ed amata dalla radice alla crescita figurativa dell'immagine rappresentata. Nelle opere di Guarneri le figure occupano l'intero orizzonte, con una caratterizzante densa consistenza cromatica, mai accesa, in cui cose, forme, contorni, luci si fondono in un'armonia che può, e, mio avviso, deve ricordare, l'armonia del creato. Silhouette spesso non riconoscibili, non donne, non uomini, ma forse angeli, realizzati con l'intenzione di mettere in connessione l'interno con l'esterno. Guarneri pone l'uomo in una nuova condizione e lo rende capace di comunicare e di coinvolgere il pubblico in questi lavori quasi monocromatici, con un gusto musicale nel colore, che crea, suggerisce, alimenta sinfonie: campiture trasformate in stati d'animo, espressioni di sentimenti che si realizzano attraverso quella personale ricerca che caratterizza gli ultimi anni del lavoro dell'artista.
Testo scritto in occasione della mostra personale Policromie dell'anima, Sala Consiliare del Comune di Prato Sesia, giugno 2013.
18. Il posto delle favole
"Una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell'esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito, ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso"
(Bettelheim, "Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe").
Era il 1977 quando Bruno Bettelheim pubblicava il suo testo, dove evidenziava come il mondo incantato delle favole sia indispensabile e fondamentale per lo sviluppo psichico del bambino. Le fiabe contribuiscono a mettere ordine in quel caos interno ed esterno nel quale il bambino si trova catapultato con la nascita, rassicurano i piccoli di fronte alle ansie della vita, placano le loro insicurezze con l'inevitabile lieto fine, che immancabilmente arriva per l'eroe, come premio per aver affrontato con onestà e magari un pizzico di magia mille peripezie, ostacoli e problemi.
Alle stesse conclusioni era giunto già nel 1928 Vladimir Jakovlevič Propp, anche se poi criticato da Claude Lévi-Strauss, con il suo testo "Morfologia della fiaba": smembrando un vasto numero di racconti popolari russi in unità narrative più piccole, e confrontando i risultati con le fiabe di molte altre culture, è stato in grado di estrarre da esse una tipologia, fissa, di struttura narrativa, al fine di portare alla luce gli elementi che formano le basi della narrativa dei racconti popolari. Così Propp è arrivato a codificare otto categorie di personaggi tipo, come l'eroe, l'antagonista, il mandante, etc.
Il mondo delle fiabe è sterminato, esse variano a seconda dei luoghi geografici, dei tempi, delle culture, ma sia lo scopo ultimo evidenziato da Bettelheim che le categorie estratte da Propp non cambiano.
Inoltre, da sempre, quando una fiaba è edita, è corredata da illustrazioni: è nel XIX secolo che le illustrazioni dei libri di favole raggiungono la loro fase più importante in assoluto, e ancor oggi non c'è fotografia o altra tecnica moderna in grado di sostituire la mano e la sensibilità dell'illustratore di libri per l'infanzia, capace di far sognare qualunque bambino – o adulto – li guardi.
Un notevole compendio dei lavori di ben 40 illustratori di libri di favole è offerto da "Il posto delle favole", la splendida kermesse itinerante curata da Barbara Pavan, che riesce a raggiungere l'obiettivo di offrire al pubblico un panorama completo dell'illustrazione contemporanea per l'infanzia.
I lavori degli illustratori presentati, ovviamente, sono molto diversi tra loro per tecnica e stile. Risulta evidente comunque un denominatore comune: la squisita e spontanea sensibilità unita al gusto cromatico e decorativo, il tutto supportato da un'assoluta padronanza del mestiere.
Sia che la loro scelta stilistica aulica e leggera, fatta di pennellate minute, quasi impalpabili, o rapide campiture trasparenti, dia vita a figure piene di colori chiari, di luce. Figure in cui si trasfonde una vena inesausta d'idillio e di poesia che fa sognare coloro che chiedono all'arte una via di fuga verso un mondo innocente.
Sia che la loro arte preferisca caratterizzarsi per una grafica asciutta ed espressiva, ricca di sfumature a volta malinconiche, a volte satiriche, che sconfinano anche nell'inquietudine, o meglio nella scelta di raffigurare quella parte della fiaba in cui il lieto fine è ancora incerto, quando sembrano prevalere le forze oscure del male.
La fiaba come parabola dell'esistenza, strumento semplice e alla portata della semplice razionalità del bambino per comprendere i misteri dell'esistenza, del mondo, della vita: questo era per gli antichi, Esopo e Fedro insegnano, e questo è ancora, nonostante i testi naturalmente contestualizzati nel tempo, per noi.
Gli illustratori divengono così attenti guardiani dei ricordi della nostra infanzia, e tutti abbiamo bisogno di ricordi che ci rammentino chi siamo.
Presentazione per la collettiva di illustratori Il posto delle favole, 2014, Museo A. Miniucchi, Rocca Sinibalda (RI)